Semiramide, Parigi, Quillau, 1755, II

 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
  Campagna su le rive dell’Eufrate. Mura de’ giardini reali da un lato con cancelli aperti. Navi nel fiume che ardono.
 
 Zuffa già incominciata fra le guardie assire e soldati sciti, gli ultimi de’ quali si disperdono inseguiti dagli altri. Poi IRCANO e MIRTEO combattendo. Il primo cade; l’altro gli guadagna la spada
 
 MIRTEO
870Cedi il ferro o t'uccido.
 IRCANO
                                            Il ferro avrai
 quand'io rimanga estinto.
 MIRTEO
 Empio vivrai, ma disarmato e vinto. (Gli leva la spada)
 IRCANO
 Astri nemici!
 MIRTEO
                            Assiri,
 al re lo scita altero
875prigionier conducete.
 IRCANO
                                          Io prigioniero!
 Lacci ad Ircano? Ah temerario! E sai
 chi son io?
 MIRTEO
                       Sì lo veggo. Un vil tu sei
 senza onor, senza fede,
 che altro dover non vede
880che il suo piacer, che insidia le regine,
 che sol con le rapine,
 pregio de' traditori,
 sa meritar, sa contrastar gli amori.
 IRCANO
 Quest'insolente oltraggio
885pagherai col tuo sangue.
 MIRTEO
                                               Eh di minacce
 tempo or non è. Grazia e pietade implora.
 IRCANO
 Grazia e pietà? Farò tremarvi ancora.
 
    In mezzo alle tempeste
 scoglio battuto in mar
890da lungi fa tremar
 navi e nocchieri.
 
    Fra l'onde più funeste
 lo scoglio tuo sarò;
 e il fasto io frangerò
895de' tuoi pensieri. (Ircano parte fra le guardie assire)
 
 SCENA II
 
 MIRTEO, poi SIBARI con spada nuda
 
 MIRTEO
 Inutile furor!
 SIBARI
                            Mirteo respira.
 Tu il barbaro opprimesti; i suoi seguaci
 io dispersi e fugai. Salva è Tamiri,
 lode agli dei. (Rimette la spada)
 MIRTEO
                            Quanto ti deggio amico!
900Vieni al mio sen. Con l'opportuno avviso
 mi salvasti il mio ben. La trama indegna
 a me rimasta ignota
 saria senza di te. Godrebbe Ircano
 della sua colpa il frutto; io piangerei
905privo dell'idol mio.
 SIBARI
                                      L'opre dovute
 alcun merto non hanno.
 MIRTEO
 (Che fido cor!)
 SIBARI
                              (Che fortunato inganno!)
 MIRTEO
 Ecco, un rival di meno
 per te mi trovo.
 SIBARI
                                Il tuo maggior nemico
910non ti è noto però.
 MIRTEO
                                    Lo so; Scitalce
 funesto è all'amor mio.
 SIBARI
                                             Solo all'amore?
 Ah Mirteo nol conosci.
 MIRTEO
                                           Io nol conosco?
 SIBARI
 No. (S'irriti costui).
 MIRTEO
                                       Chi dunque è mai?
 Spiegati, non tacer.
 SIBARI
                                      Scitalce è quello
915che col nome d'Idreno
 ti rapì la germana.
 MIRTEO
                                     Oh dei! Che dici?
 Donde Sibari il sai?
 SIBARI
                                       Molto in Egitto
 ei mi fu noto. Io del real tuo padre
 era i custodi a regolare eletto
920quando tu pargoletto
 crescevi in Battra, a Zoroastro appresso.
 MIRTEO
 Potresti errar.
 SIBARI
                             Non dubitarne; è desso.
 MIRTEO
 Ah non a caso il cielo
 il reo mi guida innanzi. Il suo castigo
925è mio dover. (In atto di partire)
 SIBARI
                           Dove t'affretti? Ascolta; (Trattenendolo)
 regola almen lo sdegno.
 MIRTEO
 Non soffre l'ira mia freno o ritegno.
 
    In braccio a mille furie
 sento che l'alma freme;
930tutte le sento insieme
 tutte d'intorno al cor.
 
    Delle passate ingiurie
 quella l'idea mi desta;
 l'odio fomenta questa
935del contrastato amor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 SIBARI solo
 
 SIBARI
 Quell'ira ch'io destai
 molto giovar mi può. Scitalce estinto
 dal timor mi difende
 ch'ei palesi il mio foglio;
940e di lei che m'accende
 un inciampo mi toglie al letto, al soglio.
 Questa dolce lusinga
 di delitto in delitto, oh dio, mi guida;
 ma il rimorso or che giova?
945Quando il primo è commesso,
 necessario diventa ogn'altro eccesso.
 
    Or che sciolta è già la prora
 sol si pensi a navigar.
 
    Quando fu nel porto ancora
950era bello il dubitar. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 Gabinetti reali.
 
 SEMIRAMIDE, uno de’ custodi, poi SCITALCE
 
 SEMIRAMIDE
 Nol voglio udir. Da questa reggia Ircano
 parta a momenti. Egli perdé nel vile
 tradimento intrapreso
 ogni ragione all'imeneo conteso.
955Odi; Scitalce a me s'inoltri. Io tremo (Alla guardia che
 partiva)
 ripensando a Mirteo. Con quale orgoglio
 or mi parlò! Non è suo stil. Che avvenne?
 Che vuol? Mi ravvisò? Principe ah siamo (A Scitalce che
 arriva)
 in gran periglio entrambi. Ho gran sospetto
960che Mirteo ci conosca. Ai detti audaci,
 all'insolito sdegno, alle minacce
 misteriose e tronche io giurerei
 ch'ei ci scoprì. Per questi istanti a pena
 ch'io parlo teco a differir la pugna
965indussi il suo furor.
 SCITALCE
                                       Rendimi il brando,
 lasciami dunque in libertà.
 SEMIRAMIDE
                                                    Vincendo
 che giovi a me, quando ei mi scopra? Ah pensa
 che all'estrema sventura
 io ridotta sarei.
 SCITALCE
                               Questa è tua cura.
 SEMIRAMIDE
970Ma se senza tuo danno
 tu potessi salvarmi,
 nol faresti o crudel?
 SCITALCE
                                       La tua salvezza
 non dipende da me.
 SEMIRAMIDE
                                        Da te dipende.
 Odimi sol.
 SCITALCE
                       Parla. (Con disprezzo)
 SEMIRAMIDE
                                    E che vuoi ch'io dica
975se m'ascolti così? Finch'io ragiono
 placa quell'ira o caro;
 modera quel dispetto;
 prometti di tacer.
 SCITALCE
                                   Parla. Il prometto.
 SEMIRAMIDE
 (M'assisti amor).
 SCITALCE
                                   (Che mai può dirmi).
 SEMIRAMIDE
                                                                             Or senti.
980Se la tua man mi porgi...
 SCITALCE
 Che! La mia man?
 SEMIRAMIDE
                                     Rammenta
 che dei tacer. M'avanza
 molto ancor che spiegarti.
 SCITALCE
                                                  (Oh tolleranza!)
 SEMIRAMIDE
 Se la tua man mi porgi
985tutto in pace sarà. Vedrà Mirteo
 col felice imeneo
 giustificato in noi l'antico errore.
 Più rivale in amore
 non gli sarà Scitalce. E quando uniti
990voi siate in amistà, l'armi d'Egitto,
 le forze del tuo regno, i miei fedeli,
 se ben scoperta io sono,
 saran bastanti a conservarci il trono.
 Oh viver fortunato,
995oh dolce uscir di vita
 con l'idol mio, col mio Scitalce unita!
 SCITALCE
 (Se men la conoscessi
 al certo io cederei).
 SEMIRAMIDE
                                      Perché non parli?
 SCITALCE
 Promisi di tacer.
 SEMIRAMIDE
                                  Tacesti assai;
1000è tempo di parlar.
 SCITALCE
                                    Rendimi il brando;
 altro a dir non mi resta.
 SEMIRAMIDE
 Non hai che dirmi! E la risposta è questa?
 SCITALCE
 Vuoi dunque ch'io risponda? Odimi. Esposto
 degli uomini allo sdegno,
1005all'ira degli dei
 prima d'esserti sposo esser vorrei.
 SEMIRAMIDE
 E questa è la mercede
 che rendi a tanto amore
 anima senza legge e senza fede?
1010Tradita, disprezzata,
 ferita, abbandonata,
 mi scopro, ti perdono,
 t'offro il talamo, il trono
 e non basta a placarti?
1015E a pietà non ti desti?
 Qual tigre t'allattò? Dove nascesti?
 SCITALCE
 E ancor con tanto orgoglio...
 SEMIRAMIDE
 Taci, ingiurie novelle udir non voglio.
 Custodi olà, rendete
1020il brando al prigionier; libero sei;
 va' pur dove ti guida
 il tuo cieco furor; vanne ma pensa
 ch'oggi ridotta alla sventura estrema
 vendicarmi saprò; pensaci e trema.
 
1025   Fuggi dagli occhi miei
 perfido, ingannator.
 Ricordati che sei,
 che fosti un traditor,
 ch'io vivo ancora.
 
1030   Misera a chi serbai
 amore e fedeltà?
 A un barbaro che mai
 non dimostrò pietà,
 che vuol ch'io mora. (Parte)
 
 SCENA V
 
 SCITALCE, poi TAMIRI
 
 SCITALCE
1035Dove son! Che ascoltai! Tanta fermezza
 può mostrar chi tradisce? Oh dei! Se mai
 ingannato io mi fossi?
 Se mai fosse fedel? Se tanti oltraggi
 soffrisse a torto... Eh che son folle. Ah dunque
1040maggior fede io dovrei
 a' suoi detti prestar che agli occhi miei?
 Risolviti o Scitalce
 e detesta una volta i tuoi deliri.
 TAMIRI
 Principe...
 SCITALCE
                      Alfin Tamiri (Risoluto)
1045m'avveggo dell'error. Teco un ingrato
 so che finora io fui; ma più nol sono.
 Concedimi, io l'imploro, il tuo perdono.
 TAMIRI
 (Nino parlò per me). Tutto, o Scitalce,
 tutto mi scorderei; ma in te sospetto
1050di qualche ardor primiero
 viva la fiamma ancor.
 SCITALCE
                                          No; non è vero.
 TAMIRI
 Finger tu puoi. Nol crederò se pria
 la tua destra non stringo.
 SCITALCE
 Ecco la destra mia. Vedi s'io fingo.
 
 SCENA VI
 
 MIRTEO e detti
 
 MIRTEO
1055Così vieni a pugnar? Chi ti trattiene?
 Più non sei prigionier. Libero il campo
 il re concede. A che tardar? Raccogli
 quegli spirti codardi.
 SCITALCE
 Mirteo, per quanto io tardi
1060troppo sempre a tuo danno
 sollecito sarò.
 MIRTEO
                            Dunque si vada.
 TAMIRI
 No no; già tutto è in pace;
 che si pugni per me più non intendo.
 SCITALCE
 Sodisfarlo convien. Prence t'attendo.
 
1065   Odi quel fasto? (A Tamiri)
 Scorgi quel foco?
 Tutto fra poco
 vedrai mancar.
 
    Al gran contrasto
1070vedersi appresso
 non è l'istesso
 che minacciar. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 TAMIRI e MIRTEO
 
 TAMIRI
 (S'impedisca il cimento;
 si voli al re). (In atto di partire)
 MIRTEO
                           Così mi lasci? Almeno
1075guardami ingrata e parti.
 TAMIRI
 Mirteo non lusingarti. Io ben conosco
 tutti i meriti tuoi; quanto io ti deggio
 in faccia al mondo intiero
 sempre confesserò; saprò serbarti
1080per finch'io viva un'amistà verace.
 Ma Scitalce mi piace;
 sol per lui di catene ho cinto il core.
 MIRTEO
 Ma la ragion?
 TAMIRI
                            Ma la ragione è amore.
 
    D'un genio che m'accende
1085tu vuoi ragion da me?
 Non ha ragione amore
 o se ragione intende
 subito amor non è.
 
    Un amoroso foco
1090non può spiegarsi mai.
 Di' che lo sente poco
 chi ne ragiona assai,
 chi ti sa dir perché. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 MIRTEO solo
 
 MIRTEO
 Or va', servi un'ingrata; il tuo riposo
1095perdi per lei, consacra ai suoi voleri
 tutte le cure tue, tutti i pensieri.
 Ecco con qual mercé
 poi si premia la fé di chi l'adora.
 Diviene infida e ne fa pompa ancora.
 
1100   Sentirsi dire
 dal caro bene:
 «Ho cinto il core
 d'altre catene!»
 Quest'è un martire,
1105quest'è un dolore
 che un'alma fida
 soffrir non può.
 
    Se la mia fede
 così l'affanna,
1110perché tiranna
 m'innamorò? (Parte)
 
 SCENA IX
 
  Anfiteatro con cancelli chiusi dai lati e trono da una parte.
 
 SEMIRAMIDE con guardie e popolo, SIBARI e IRCANO
 
 IRCANO
 A forza io passerò; vuo' del cimento
 trovarmi a parte anch'io.
 SEMIRAMIDE
                                                Così partisti?
 Qual mai ragion sopra una man pretendi
1115che ricusasti?
 IRCANO
                            Io ricusai la morte;
 avvelenato il nappo
 Sibari avea. Fu suo consiglio ancora
 la tentata rapina. Egli è l'autore
 d'ogni mio fallo.
 SIBARI
                                 Ah mentitor!
 IRCANO
                                                           Sugli occhi
1120del tuo re questo acciar... (In atto di ferire)
 SEMIRAMIDE
                                                 Non più. Per ora
 non voglio esaminar qual sia l'indegno.
 Olà. Si dia della battaglia il segno. (Mentre Semiramide va
 sul trono, Ircano si ritira da un lato in faccia a lei. Sibari
 resta alla sinistra del trono, suonano le trombe, s’aprono i
 cancelli, dal destro de’ quali viene Mirteo e dall’opposto
 Scitalce, ambedue senza spada, senza cimiero e senza
 manto)
 
 SCENA ULTIMA
 
 MIRTEO, SCITALCE, poi TAMIRI e detti
 
 MIRTEO
 (Al traditore in faccia il sangue io sento
 agitar nelle vene). (Guardando Scitalce)
 SCITALCE
                                     (Io sento il core
1125agitarsi nel petto in faccia a lei). (Guardando Semiramide)
 SEMIRAMIDE
 (Spettacolo funesto agli occhi miei!) (Due capitani delle
 guardie presentano l’armi a Scitalce e a Mirteo e si
 ritirano appresso i cancelli. Mentre Mirteo e Scitalce si
 muovono per combattere esce frettolosa Tamiri)
 TAMIRI
 Ah fermati Mirteo. Sai ch'io non voglio
 più vendetta da te.
 MIRTEO
                                     Vendico i miei,
 non i tuoi torti; è un traditor costui,
1130mentisce il nome; egli s'appella Idreno;
 egli la mia germana
 dall'Egitto rapì.
 SIBARI
                                (Stelle che fia!)
 SCITALCE
 Saprò qualunque io sia...
 SEMIRAMIDE
                                                Mirteo t'inganni.
 MIRTEO
 Nella reggia d'Egitto
1135Sibari lo conobbe, egli l'afferma.
 SIBARI
 (Aimè!)
 SCITALCE
                   Che! Mi tradisci (A Sibari)
 perfido amico! È ver, mi finsi Idreno;
 è ver, la tua germana
 là del Nilo alle sponde
1140rapii, trafissi, e la gittai nell'onde.
 MIRTEO
 Empio! Inumano!
 SCITALCE
                                    In questo foglio vedi (Cava il foglio)
 s'ella fu, s'io son reo.
 Sibari lo vergò, leggi Mirteo. (Lo dà a Mirteo)
 SIBARI
 (Tremo).
 SEMIRAMIDE
                    (Che foglio è quello?)
 MIRTEO
                                                             «Amico Idreno (Legge)
1145ad altro amante in seno
 Semiramide tua porti tu stesso;
 l'insidia è al Nilo appresso. Ella che brama
 solo esporti al periglio
 di doverla rapir, ti finge amore,
1150fugge con te ma col disegno infame
 di privarti di vita
 e poi trovarsi unita
 a quello a cui la stringe il genio antico.
 Vivi; ha di te pietà Sibari amico».
 SEMIRAMIDE
1155(Stelle! Che inganno orrendo!)
 MIRTEO
 Sibari, io non t'intendo. In questo foglio
 sei di Scitalce amico; e pur poc'anzi
 da me, lo sai, tu lo volevi oppresso.
 Come amico e nemico
1160di Scitalce esser può Sibari istesso?
 SIBARI
 Allor... (Mi perdo). Io non credea... Parlai...
 MIRTEO
 Perfido ti confondi. Ah Nino, è questi
 un traditor; da' labbri suoi si tragga
 a forza il ver.
 SEMIRAMIDE
                           (Se qui a parlar l'astringo,
1165al popolo ei mi scopre). In chiuso loco
 costui si porti. E sarà mia la cura
 che tutto ei sveli.
 SIBARI
                                  A che portarmi altrove?
 Qui parlerò.
 SEMIRAMIDE
                          No, vanne, i detti tuoi
 solo ascoltar vogl'io.
 SCITALCE
1170Perché?
 MIRTEO
                  Resti.
 IRCANO
                               Si senta.
 SIBARI
                                                 Udite.
 SEMIRAMIDE
                                                               (Oh dio!)
 SIBARI
 Semiramide amai. Lo tacqui, intesi
 l'amor suo con Scitalce. A lei concessi
 agio a fuggir; quanto quel foglio afferma
 finsi per farla mia.
 SCITALCE
                                     Fingesti! Io vidi
1175pure il rival; vidi gli armati.
 SIBARI
                                                      Io fui
 che mal noto fra l'ombre
 sul Nilo v'attendea. Volli assalirti
 vedendoti con lei
 ma fra l'ombre in un tratto io vi perdei.
 SCITALCE
1180Ah perfido! (Che feci!)
 SIBARI
                                             Udite; ancora
 molto mi resta a dir.
 SEMIRAMIDE
                                        Sibari, basta.
 IRCANO
 No; pria si chiami autore
 de' falli apposti a me.
 SIBARI
                                          Tutti son miei.
 SEMIRAMIDE
 Basta, non più.
 SIBARI
                               No, non mi basta.
 SEMIRAMIDE
                                                                 (Oh dei!)
 SIBARI
1185Giacché perduto io sono,
 altri lieto non sia. Popoli a voi
 scopro un inganno, aprite i lumi; ingombra
 una femina imbelle il vostro impero...
 SEMIRAMIDE
 Taci. (È tempo d'ardir). Popoli è vero. (S’alza in piedi sul
 trono)
1190Semiramide io son; del figlio invece
 regnai finor ma per giovarvi. Io tolsi
 del regno il freno ad una destra imbelle
 non atta a moderarlo; io vi difesi
 dal nemico furor; d'eccelse mura
1195Babilonia adornai;
 coll'armi io dilatai
 i regni dell'Assiria. Assiria istessa
 dica per me se mi provò finora
 sotto spoglia fallace
1200ardita in guerra e moderata in pace.
 Se sdegnate ubbidirmi, ecco depongo
 il serto mio, non è lontano il figlio; (Depone la corona
 sul trono)
 dalla reggia vicina
 porti sul trono il piè.
 CORO
 
1205   Viva lieta e sia regina
 chi finor fu nostro re. (Semiramide si ripone in capo la
 corona)
 
 MIRTEO
 Ah germana!
 SEMIRAMIDE
                           Ah Mirteo! (Scende dal trono ed abbraccia
 Mirteo)
 SCITALCE
                                                  Perdono o cara,
 son reo... (S’inginocchia)
 SEMIRAMIDE
                     Sorgi e t'assolva
 della mia destra il dono. (Porge la mano a Scitalce)
 SCITALCE
                                                Oh dio, Tamiri
1210coll'idol mio sdegnato
 io ti promisi amor.
 TAMIRI
                                      Tolgano i numi
 ch'io turbi un sì bel nodo; in questa mano
 ecco il premio, Mirteo, da te bramato. (Dà la mano a Mirteo)
 SCITALCE
 Anima generosa!
 MIRTEO
                                  Oh me beato!
 IRCANO
1215Lasciatemi svenar Sibari e poi
 al Caucaso natio torno contento.
 SEMIRAMIDE
 D'ogni esempio maggiori,
 principe, i casi miei vedi che sono. (Ad Ircano)
 Sia maggior d'ogni esempio anche il perdono.
 CORO
 
1220   Donna illustre, il ciel destina
 a te regni, imperi a te.
 
    Viva lieta e sia regina
 chi finor fu nostro re.
 
 IL FINE
 
  Nel tempo dell’ultimo coro dell’opera, del suo ritornello e della sinfonia che precede la licenza, tutta la scena si ricopre di dense nuvole, le quali diradandosi poi a poco a poco scoprono nell’alto la luminosa reggia di Giove sulle cime dell’Olimpo ed una porzione d’arcobaleno che si perde nel basso fra le nuvole che circondan sempre le scoscese falde del monte. Si vede Giove assiso nel suo trono nel più distinto loco della reggia, all’intorno e sotto di lui Giunone, Venere, Pallade, Apollo, Marte, Mercurio e la schiera degli dei minori e de’ geni celesti. La dea Iride a’ suoi piedi in atto di riceverne un comando. Questa, quando già sia la scena al suo punto, levandosi rispettosamente va a sedere in un leggiero carro tirato da pavoni e già innanzi preparato sull’alto dell’arcobaleno; e servendole di strada l’arco medesimo scende velocemente al basso, dove smontata dal suo carro, corteggiata da’ geni celesti si avanza a pronunciare la seguente
 
 
 LICENZA
 
 Il giubilo festivo
1225di questo giorno, a cui
 sì gran parte del mondo è debitrice
 di sua felicità, non è ristretto
 fra gli angusti confini, o gran Fernando,
 della terra e del mar. Là sull'Olimpo
1230lo risenton gli dei; n'è Giove a parte;
 e dall'eccelsa sfera ov'ei risplende
 Iride messaggiera a te ne scende.
 Ed è ragion. Giove in Fernando onora
 un'imagine sua. Padre ei de' numi
1235tu 'l sei di tanti regni; astro funesto
 il suo seren non turba; e il tuo sereno
 a turbar le sventure atte non sono;
 piovono dal suo trono
 sempre influssi benigni,
1240sempre grazie dal tuo; Giove è nel cielo
 fra le schiere de' numi; e fra le schiere
 di tante tue virtù più che reali
 il lor Giove anche in terra hanno i mortali.
 
    Imagine sì bella
1245grata l'Iberia onori;
 ed in Fernando adori
 la sua felicità.
 
    Di sì propizia stella
 finché scintilla il lume
1250padre, monarca e nume
 Fernando a lei sarà.